Innovare è un gioco infinito

Il numero dei giocatori non è noto, così come regole e durata del gioco. Innovare è un gioco infinito, che può anche essere divertente.

Quale miglior periodo di quello natalizio per parlare di giochi? Oltre a fare gli auguri a chi  leggerà questo post (anche in altri periodi dell’anno), ne approfitto per sfatare il mito della (Santa) Silicon (Claus) Valley. Lo so, sono una persona orrenda e capirò chi non vorrà andare oltre nella lettura.

La (Santa) Silicon (Claus) Valley

Personalmente non credo che importare modelli nati in contesti e mercati molto differenti dal nostro possano attecchire con successo, non senza lasciare strascichi sociali rilevanti almeno. Nutro anche più di qualche dubbio sull’eredità che lasciano nel posto di origine, ma non voglio andare off-topic. Se persino un mito, decisamente più semplice come quello di Santa Claus non ha trovato la medesima applicazione in tutto il mondo, come si può sperare che lo faccia quello ben più complesso e demanding della Silicon Valley?

Partiamo dalle origini di questo mito, ovvero dalla definizione di startup (in altre parole del “giocattolo”) che troviamo su Wikipedia: “A startup or start-up is a company or project undertaken by an entrepreneur to seek, develop, and validate a scalable business model.

Ma scalabile quanto? Fino a quando e a quali condizioni? Vediamolo assieme.

Fare impresa è un gioco infinito

Come afferma Simon Sinek, “fare impresa è un gioco infinito”. Significa che “il numero di giocatori non è dato, così come le regole o la durata del gioco stesso”.

Infinite cat jump

Conquistare tutta una nicchia di mercato e tenere la posizione nel lungo periodo è praticamente impossibile, a meno di una continua e costante spinta all’innovazione. A quel punto diventa solo difficile a piacere, con difficoltà crescente al crescere del grado di propensione all’innovazione dei competitor operanti nella medesima nicchia.

Dunque perché nel mondo startup esiste la cultura della crescita a 3 cifre anno su anno a tutti i costi, fino a quando non si sono eliminati tutti i competitor? Il motivo è che esistono dei player per i quali il gioco è finito, almeno in termini di tempo: i fondi di investimento. Costoro agiscono applicando (imponendo?) le regole di un gioco finito a un gioco intrinsecamente e innegabilmente infinito.

A volte ritornano

Il perché è presto detto: la startup deve crescere in fretta e a 3 cifre per consentire al fondo di realizzare ritorni sull’investimento da distribuire ai propri Limited Partners (o LPs) e solitamente lo deve fare in un arco temporale ben definito, che coincide con la scadenza del fondo stesso (tip per i founder: chiedete sempre la vita utile residua del fondo che vi state portando dentro).

Helicopter money

La cultura US-centrica del “Go big or go home” e del “Fail fast” fanno il resto, escludendo completamente la possibilità di crescite più contenute, magari in attesa di condizioni di mercato più favorevoli.

Però non tutto il male viene per nuocere.

Fallire in fretta permette spesso di ripartire con qualcosa di più “sensato” per il mercato, soprattutto quando non si è trovato il market-fit. Ma dopo aver trovato anche solo una parvenza di fit, che senso ha stare sempre e costantemente sull’orlo del burrone? Ormai persino l’altro mito dell’investire whatever it takes per poi crescere verticalmente non regge, perché poi arriva una crisi sistemica qualsiasi e rompe il giochino (nonostante gli ottimisti non manchino mai).

Quindi perché questa ossessione per la iper-crescita?

Considerando che la meta non esiste (gioco infinito, remember?), che al massimo si può parlare di sopravvivere fino a quando gli altri si ritirano, che giocare è pure parecchio stremante e che chi vince (o pensa di aver vinto) è meno dello 0,1% di coloro che giocano, direi che il senso è da ricercare unicamente nella propria propensione all’autolesionismo (componente di cui ogni imprenditore è comunque dotato in qualche misura).

“Com’è umano Lei!”

No time to waste

Uno studio del Canadian Mental Health Association (CMHA) del 2019 rileva però come ben il 62% degli imprenditori si senta depresso almeno una volta a settimana. I valori risultano più alti per i business più piccoli. E uno startupper si sente depresso almeno 1 volta al giorno (quest’ultima è senza fonte, l’ho aggiunta io, ma il campione è composto da decine di conoscenze dirette). Per fortuna non di solo stress è costellata la vita di un imprenditore, altrimenti non lo farebbe più nessuno, ma il fenomeno non va assolutamente sottovalutato.

Non dubito inoltre che lo stress faccia parte anche della vita del Managing Partner (o MP) di un fondo VC, ma allora perché non provare a innovare il sistema con cui si fa innovazione? E non sto parlando solo della mission del fondo, che può anche essere ad impatto sociale, sto parlando proprio del modello del fondo stesso.

Investire in iniziative ad impatto sociale, stressando con la crescita a 3 cifre i founder, credo vada un po’ in contrasto con la missione originaria. L’invito è rivolto anche ai Limited Partners: continuate ad investire in fondi ad impatto, ma assicuratevi che impattino poco sulle vite delle persone che vengono finanziate.

Hands on!

Praticamente tutti i fondi VC esistenti hanno per loro natura in testa una distribuzione paretiana dei ritorni: spingono tutti alla crescita perché sanno che su 100 giocatori gli basta trovare 1 o 2 che stanno in piedi con crescita a 4 o 5 cifre per garantire al fondo una performance positiva (multiplo medio di almeno 2x).

Zebra e unicorno

Però solo il 5% dei fondi VC nel mondo ha performance >3x (fonte)

La stessa performance è raggiungibile con 6 exit a 20 Mln su 10 iniziative, o 3 exit a 40 Mln su 10. C’è dunque davvero bisogno di spingere il sistema sempre al limite per inseguire l’unicorno? No che non c’è. Ed è inoltre pieno di Co-Founder che si metterebbero in tasca volentieri 3, 5 o 10 Mln senza per forza rischiare la propria salute mentale all’inseguimento di animali fantastici (e senza essere dotati di bacchetta magica per giunta!).

C’è invece gran bisogno di boutique hands on che non siano puramente finanziarie e che supportino le iniziative entrando nell’operatività più spinta. Tradotto: scendere in campo per giocare la partita al fianco dei founder, poiché si vince o si impara tutti insieme.

Creare zebre (cosa sono?), anziché unicorni fa parte della mission che ci siamo dati come Startup Bakery. E nel farlo si può scoprire che il gioco è persino divertente, nonché utile, poiché consente di innovare concretamente anche ad un tessuto di PMI che spesso non ha modo di beneficiare delle best practice in ambito open innovation.

La fine dei giochi

In realtà una fine esiste (‘sto post è un colpo di scena dietro l’altro) e si chiama exit, ma non significa necessariamente la fine dei giochi. Molte iniziative (nell’ambiente si dice addirittura più di 8 su 10), anche dopo una M&A infatti falliscono (quindi purtroppo per loro sì che è la fine). Le cause sono molteplici (ne trovate qui alcune) e non rilevano in questa sede. Ciò che rileva invece è che chi fa open innovation dovrebbe preoccuparsene parecchio, perché dato che il gioco continua, alla lunga si potrebbe perdere fiducia nello strumento innovativo.

Tutti i giocatori, che siano founder, fondi, innovation manager o altro, dovrebbero preoccuparsi maggiormente della qualità delle iniziative prodotte, da misurare non solamente con KPI economico-finanziari, bensì anche sociali e soprattutto di benessere degli individui che la portano avanti. Perché l’unico modo di assicurarsi che il gioco rimanga infinito è che valga la pena per tutti di essere giocato.

Startup Bakery è lo startup studio italiano specializzato nella creazione di aziende SaaS B2B con Intelligenza Artificiale. Offriamo ad aspiranti Co-Founders l’opportunità di sviluppare un’idea di business. Creiamo opportunità di investimento per Investitori Professionali. Aiutiamo le aziende nel processo di innovazione.

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